Salute o economia? Covid e paradossi della comunicazione

Monica Brondi

Storica dell’arte, pubblicitaria e fondatrice Metakoinè

 

Ora che la fase più delicata ed emergenziale del Coronavirus sembra superata, mi permetto alcune riflessioni che mi sono trattenuta dal pubblicare, ma non dall’esprimere verbalmente in tempi non sospetti, da inizio marzo 2020, in conversazioni e animate discussioni con congiunti, amici e conoscenti.

Se posso usare una metafora un po’ surreale, credo che nemmeno Dio, se fosse stato al governo di un Paese come l’Italia, sarebbe stato in grado di gestire un’emergenza improvvisa e devastante come quella del Covid, senza causare danni collaterali di vario tipo e natura. Una premessa che considero doverosa visto che le mie considerazioni prescindono dal dibattito politico in atto.

L’emergenza Coronavirus ha messo i governi di tutto il mondo, e quindi non solo l’Italia, di fronte alla necessità di gestire un’emergenza quasi inedita nella storia recente, adottando per i propri Paesi le soluzioni più tempestive ed efficaci.

Ma di fronte alle questioni gravi e difficili,  l’importante è sapersi porre correttamente il problema (la disciplina del problem setting, come ben lo definisce Umberto Santucci nel suo libro "Fai luce sulla chiave”) ancor prima di arrivare alle soluzioni (problem solving). Cioè sapersi porre le domande giuste, e non quelle sbagliate. Vediamo qualche esempio

“Vuoi più bene alla mamma o al papà?" 

Sarà capitato anche a voi, nella vostra infanzia, che qualche conoscente o amico di famiglia, incontrandovi per strada con i vostri genitori, per sviluppare confidenza con voi, a un certo punto vi rivolgesse la fatidica domanda: “Vuoi più bene alla mamma o al papà?!” Domanda quanto mai imbarazzante e inopportuna proprio perché posta come un aut aut: se aveste risposto  "la mamma", avreste fatto un un torto al papà o viceversa, con notevole un senso di colpa in tutti e due i casi. 

Di questi paradossi del linguaggio si è molto occupata la psicologia comportamentale (Gregory Bateson e la Scuola di Palo Alto)  e in particolare uno dei più brillanti trattati sulle dinamiche relazionali che è alla base delle moderne teorie della comunicazione "La pragmatica della comunicazione umana” di Paul Watzlawick, lettura ancora oggi illuminante, non solo per chi come me si occupa di linguaggio e comunicazione.

Cravatte e sensi di colpa

Un altro paradosso della comunicazione, che riproduce lo stesso schema di domanda trabocchetto, si rifà a una storiella che proviene da quell’universo stimolante e immaginifico che è l'umorismo ebraico, che ha uno stile e raffinatezza intellettuale molto ben incarnata dal noto regista e sceneggiatore Woody Allen. 

Rientra tra gli stereotipi che le madri di cultura ebraica sviluppino una rapporto molto possessivo con i figli, ingenerando in essi grandi sensi di colpa. La storiella in questione, molto conosciuta, racconta di una madre che per il compleanno del figlio, gli regala due belle cravatte, una grigia e una blu. Il figlio, il giorno successivo si presenta tutto festoso alla madre indossando una delle due cravatte, quella grigia, per testimoniarle il gradimento del regalo e la madre, appena lo vede, osserva la cravatta e con aria delusa si rivolge al figlio: “ Ah, hai messo quella grigia? Lo sapevo! Quella blu non ti è piaciuta…" 

"Viene prima la salute o l’economia?"

Ma torniamo all’emergenza Coronavirus. Di fronte al pericolo imminente di una pandemia, i governi hanno dovuto attuare degli interventi di urgenza, per tutelare i Paesi dalle conseguenze del virus.

L’Italia è stata dopo la Cina, il primo Paese in Europa a dover affrontare l’emergenza e quindi ha avuto un coefficiente di difficoltà più alto nella gestione della crisi. La linea adottata, nonostante molte contraddizioni e incertezze, è stata quella di un Lockdown pressocchè totale e indifferenziato, protratto per 2 mesi. Com'è noto, per evitare il contagio indiscriminato del virus tra la popolazione, la soluzione è stata poi quella di bloccare le attività produttive nell’intero Paese ad esclusione di quelle che avrebbero dovuto garantire l’approvvigionamento di alimenti e servizi essenziali. 

Su un piatto della bilancia c’era un rischio:  che se non si fosse bloccato il contagio e quindi i contatti tra la popolazione, il virus si sarebbe propagato, secondo una progressione non prevedibile e con esiti gravi, in alcuni casi  letali sulle fasce più deboli della popolazione, ma non quantificabili.

Sull’altro piatto della bilancia c’era il rischio di far crollare l'economia italiana: bloccando le attività produttive del Paese si imponevano alla popolazione e alla nazione conseguenze assolutamente certe, prevedibili e quantificabili. Il lockdown e la conseguente crisi economica, appunto.

Di fronte a questo interrogativo (che nella mitologia neanche Ercole al bivio forse avrebbe potuto sostenere) non sappiamo su quali criteri o fattori di rischio, anche politico, è stata effettivamente fatta la scelta (la volontà di salvare più vite umane possibile? La volontà di affermare valori etici legati alle nostre tradizioni cristiane e cattoliche? Gli imperativi dell’OMS? Il timore che il Servizio Sanitario Nazionale, decimato da tagli che risalgono agli ultimi 20 anni, di fronte a una Pandemia crollasse?  il rischio di perdita di consenso e voti da parte della maggioranza dei cittadini rispetto all’una scelta o all’altra?)

Già da questi elementi si comprende che la soluzione ad un problema così complesso non avrebbe potuto essere espresso da un semplice aut-aut. 

Tuttavia, sotto la pressione dell'urgenza e della gravità della situazione, l'Italia ha scelto di imporre il sacrificio del lockdown. In termini di comunicazione sociale, questa scelta è stata motivata e sostenuta attraverso una domanda retorica, che come tutte le domande retoriche presupponeva una risposta obbligata: “Cos’è più importante, la vita e la salute dei cittadini o l’economia?”

Di fronte a una questione posta in questi termini, pochi hanno osato, soprattutto allora, prendere qualche difesa della "fredda e cinica” economia (che attraverso il lavoro garantisce comunque l’umana sopravvivenza di persone, famiglie e intere comunità) contro il bene unico e supremo, ovvero la vita e la salute delle persone. 

In un paese profondamente latino come il nostro, ad alto coefficiente di pathos, la risposta a questa domanda retorica non poteva che essere “la salute”. Poche e isolate voci si sono levate per sostenere che 

Ed ecco che torniamo ai paradossi della comunicazione.Ci sono domande costruite appositamente perché la risposta risulti apparentemente obbligata. Come nel caso degli esempi precedenti, si tratta di domande malposte, talvolta anche eticamente scorrette.

Aut-aut o et-et?

Governare significa valutare e affrontare con la massima competenza, lucidità e lungimiranza tutti i rischi a cui i cittadini, il territorio, le realtà economiche di un Paese si trovano esposti, non solo quelli “emergenti”.

Quale compito è più arduo di questo? Sarà anche per tale ragione che gli statisti di grande caratura sono ormai una razza pressocché estinta sotto il peso di un onere così sovrumano.

Resta il fatto che la complessità, che pure è il tratto fondamentale della contemporaneità,  molto spesso spaventa. E allora, anziché ricercare soluzioni più approfondite e articolate, si cede alla semplificazione:  nel caso specifico “O la salute, o l’economia”. E all’imperativo etico o meglio all’hashtag #ioresto a casa,  l'Italia il 10 marzo chiude le attività produttive con un lockdown che è il più pesante d’Europa (il 68% dei lavoratori italiani smette di lavorare contro, ad esempio,  il 40% della Francia).

Sappiamo che i nostri vicini europei, per quanto disorientati e talvolta con palesi contrordini e contraddizioni, hanno cercato di contenere il danno.In proporzione decrescente, più si saliva di latitudine in Europa, meno restrizioni e divieti venivano imposti dallo Stato ai cittadini e ancora meno all’economia ( fino ad arrivare all’esempio della Svezia, che ritenendo i propri cittadini perfettamente in grado di intendere e di volere, cioè di autoregolamentarsi, non ha limitato se non minimamente, le attività d’impresa e le libertà personali).

Difficile fare valutazioni di costo beneficio in questi casi, ma ritengo che la politica questo genere di analisi non le dovrebbe fare solo a consuntivo, ma prima di tutto a preventivo.

Per più di 3 mesi il Covid è stato il nostro comune  "pensiero dominante”  e l’unico rischio che sembrava esistere nei nostri limitati orizzonti. Ora finalmente cominciamo ad accorgerci che il rischio del crollo dell’economia è altrettanto importante e grave e che comporterà conseguenze per anni. E che tutti gli altri rischi che insistono sulle nostre vite hanno continuano a coesistere anche nell’emergenza coronavirus, in molti casi con maggiore probabilità di verificarsi del virus stesso.

Meglio "il Gioco della Torre" o "Salvare capra e cavoli"?

Chi si occupa di scienza e di modelli matematici sa che non si può intervenire con strumenti semplici su sistemi complessi: e su un sistema quanto mai complesso e articolato come quello di un Paese, la logica dell’Aut-Aut può solo generare un’ondata di danni a "effetto domino”: che è quello che è avvenuto.

Invece esiste una logica dell' Et-Et, che in molti casi potrebbe essere una soluzione: salvare capra e cavoli, metaforicamente è un gioco più intelligente e più produttivo di quello della Torre, in cui si deve comunque sacrificare qualcosa o qualcuno.

Sicuramente presuppone una ricerca più complessa e più lunga ma più efficace:  eppure nella maggiorparte dei casi si cade nel tranello dell'Aut-Aut, senza pensare che esiste anche la possibilità di un Et-Et.

(Senza andare a scomodare Kirkegaard potrebbe essere interessante questa lettura lieve e pragmatica: "Dall'Aut-Aut All'Et-Et. Competere con la conoscenza tra efficienza e innovazione" a cura di Roberto Filippini)

E torniamo ai paradossi della comunicazione e alle domande inopportune: Salute o Ecomomia? La mamma o il papà? La cravatta grigia o la cravatta blu? Gesù o Barabba? Vincere o morire? E quante altre scelte ineluttabili hanno costellato il filo della storia, incanalate da domande manipolatorie o semplicemente malposte?

A ben vedere, ogni forma di persuasione tende a costruire argomentazioni stringenti che utilizzano la domanda retorica, ovvero quella che prevede una risposta chiusa, predeterminata, per poter indirizzare comportamenti e azioni.

Tutti danno per scontato che la pubblicità utilizza le figure retoriche per indurre i consumatori a provare un certo prodotto o servizio e le domande retoriche sono uno strumento molto efficace (vi ricordate lo slogan "O così o Pomì?" ?). Un po' meno scontato è che questi stessi meccanismi comunicativi vengano usati nell'ambito dell'informazione e della politica.

Sempre utile, interessante e a volte anche divertente decodificarli: e scoprire dietro semplici e innocenti domande insospettati paradossi della comunicazione.

Annibale Carracci, Ercole al bivio, 1595-1596