Mediazione volontaria

Oltre ad essere condizione di procedibilità in diverse materie, e pertanto obbligatoria, la duttilità e malleabilità del procedimento conciliativo, lo rendono in astratto applicabile ad ogni tipologia di situazione e di conflitto, i dati statistici sulla mediazione pervenuti dal Ministero di Giustizia per l’anno 2016, palesano altresì una durata di 115 giorni (con aderente comparso e accordo raggiunto) contro gli 882 di un contenzioso in Tribunale, attestando la soglia di successo delle mediazioni volontarie al 39%, risultando quindi un ottimo rimedio, sempre esperibile preliminarmente, alla luce dei potenziali vantaggi.

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Mediazione familiare

Necessario ed utile strumento per meglio affrontare i conflitti del nodo famiglia, la mediazione familiare trova il suo fondamento in fonti normative internazionali, a cominciare dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (New York, 10 dicembre 1948) che, all’art.16, stabilisce che gli uomini e le donne “hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi”. 

Come noto, il percorso di mediazione familiare mira in modo peculiare a ristabilire un dialogo fra i principali interpreti del conflitto, ricostituendo un riconoscimento dell’altro o meglio l’eguaglianza giuridica ed anche psicologica tra le parti affinché raggiungano un “mutuo dissenso” sullo scioglimento del vincolo matrimoniale e un progetto libero dalla conflittualità e maggiormente sereno.
E’ rinvenibile un prodromo anche nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (ratificata dall’Italia nel 1955), che all’art. 8 disciplina il diritto al rispetto della vita privata e familiare, che può essere considerato nel contempo principio ispiratore e limite dell'intervento mediativo.
La mediazione familiare, cercando di abbassare i toni e la conflittualità tra le parti, nasce dalla necessità di ristabilire la reciprocità del rispetto della vita privata e familiare.

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Arbitrato nazionale

Nell’ambito dell’ADR, l’arbitrato si caratterizza per la circostanza di prevedere il deferimento del giudizio in materia di diritti disponibili, ad uno o più privati cittadini, affinché essi decidano con un provvedimento, detto lodo, che produce effetti analoghi a quelli della sentenza, ed è regolato dalle norme di cui agli artt. 806-832 c.p.c.
La materia dell’arbitrato è stata oggetto nel corso degli anni vari interventi di modifica, con la legge n. 25/1994 il legislatore ha inteso l’arbitrato sempre più come uno strumento in grado di rispondere alla crescente domanda di giustizia in modo semplificato ed in parte più veloce rispetto al giudizio ordinario.
Il D.Lgs. n. 40/2006  ha infine attribuito al lodo gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria e posto in essere una vera e propria giurisdizionalizzazione del procedimento arbitrale.
Da ultimo la legge n.162/2014, che ha convertito il D.L. n. 132/2014 e che contiene sin dall’incipit (rubricato “trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria”) una disposizione che ispirata da un’evidente esigenza deflattiva del carico giudiziario, ha dato un nuovo impulso all’arbitrato, enfatizzandone il ruolo e le funzioni come strumento di risoluzione delle controversie.
Il principio fondamentale della procedura arbitrale è l’esistenza di un rapporto tra le parti e gli arbitri, dal quale scaturisce il procedimento: tale rapporto è costituito dall’atto negoziale posto in essere dalle parti, che si obbligano a deferire agli arbitri la risoluzione di una controversia già insorta o insorgenda.

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Arbitrato internazionale

Secondo la Convenzione dell’Aia del 1907, l’arbitrato “ha per oggetto il regolamento di liti fra Stati per opera di giudici di loro scelta e sulla base del rispetto del diritto. Il ricorso all’arbitrato implica l’impegno di assoggettarsi in buona fede alla pronuncia”.
L’arbitrato internazionale è infatti caratterizzato dalla volontà degli Stati di dirimere una controversia presente o futura a mezzo di arbitri scelti dalle stesse parti, che devono decidere secondo diritto e la decisione degli arbitri è vincolante per le parti.
L’arbitrato, menzionato tra i mezzi pacifici di soluzione delle controversie nell’art. 33 della Carta delle Nazioni Unite, è una forma di regolamento giudiziale, in quanto la procedura si conclude con una sentenza arbitrale che ha efficacia obbligatoria per le parti. In ciò si differenzia dai mezzi diplomatici di soluzione che sfociano in un accordo tra le parti, mentre il minor grado di istituzionalizzazione lo differenzia dai tribunali internazionali permanenti, operanti in base a regole precostituite (Tribunali internazionali).
Le Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907 hanno istituito la Corte permanente d’arbitrato, che – malgrado la denominazione – è in realtà una lista di arbitri designati dagli Stati contraenti, tra i quali gli Stati parti di controversie possono scegliere, di volta in volta, gli arbitri cui affidare la soluzione delle liti.
La competenza arbitrale si fonda sul consenso delle parti in lite, che è sempre necessario e può manifestarsi mediante diversi strumenti giuridici: gli Stati parti di una controversia già in atto nominano un arbitro per la soluzione della stessa e si impegnano a rispettare la decisione arbitrale; essi stipulano il cosiddetto compromesso arbitrale.

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