Arbitrato Nazionale

Nell’ambito dell’ADR, l’arbitrato si caratterizza per la circostanza di prevedere il deferimento del giudizio in materia di diritti disponibili, ad uno o più privati cittadini, affinché essi decidano con un provvedimento, detto lodo, che produce effetti analoghi a quelli della sentenza, ed è regolato dalle norme di cui agli artt. 806-832 c.p.c.
La materia dell’arbitrato è stata oggetto nel corso degli anni vari interventi di modifica, con la legge n. 25/1994 il legislatore ha inteso l’arbitrato sempre più come uno strumento in grado di rispondere alla crescente domanda di giustizia in modo semplificato ed in parte più veloce rispetto al giudizio ordinario.
Il D.Lgs. n. 40/2006  ha infine attribuito al lodo gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria e posto in essere una vera e propria giurisdizionalizzazione del procedimento arbitrale.
Da ultimo la legge n.162/2014, che ha convertito il D.L. n. 132/2014 e che contiene sin dall’incipit (rubricato “trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria”) una disposizione che ispirata da un’evidente esigenza deflattiva del carico giudiziario, ha dato un nuovo impulso all’arbitrato, enfatizzandone il ruolo e le funzioni come strumento di risoluzione delle controversie.
Il principio fondamentale della procedura arbitrale è l’esistenza di un rapporto tra le parti e gli arbitri, dal quale scaturisce il procedimento: tale rapporto è costituito dall’atto negoziale posto in essere dalle parti, che si obbligano a deferire agli arbitri la risoluzione di una controversia già insorta o insorgenda.
I presupposti affinché si possa instaurare un giudizio arbitrale vanno individuati: nella disponibilità dei diritti oggetto di controversia e nell’attribuzione agli arbitri del potere di giudicare, conferita dalle parti mediante un negozio giuridico che prende il nome di convenzione di arbitrato.
Come in tutti gli ordinamenti giuridici avanzati, principio fondamentale nel nostro ordinamento è la libertà negoziale dei privati, e l’arbitrato è una specificazione del più generale principio dell’autonomia privata che consente ai privati di autoregolamentare i propri interessi personali e patrimoniali mediante negozi giuridici e di consentire loro la devoluzione di determinate controversie ad arbitri, anziché alla giurisdizione dello Stato.
L’atto con cui le parti operano tale scelta è un contratto, la c.d. “convenzione d’arbitrato” che può assumere due forme: a) il compromesso (art. 807 c.p.c.) quando ha ad oggetto una controversia già insorta; b) la clausola compromissoria (art. 808 c.p.c.) che invece è relativa a controversie che potranno insorgere in futuro da un determinato contratto.
Normalmente in tali casi si indica la fonte come “clausola” proprio perché il “patto” compromissorio viene di solito inserito all’interno di un regolamento contrattuale che ha una funzione economica ben definita e diversa rispetto alle vicende del procedimento.
La convenzione arbitrale così intesa si distingue dal contratto di arbitrato che riguarda il rapporto tra le parti e gli arbitri.
Il regime normativo applicabile è quello dei contratti in genere, e la convezione di arbitrato per essere valida deve manifestare gli elementi essenziali del contratto ex art. 1325 c.c., l’accordo (volontà di derogare alla giurisdizione), l’oggetto (il rapporto contrattuale o extracontrattuale controverso), la forma (scritta ex 807 c.p.c.) e la causa (far decidere la controversia al giudice privato anziché dal giudice statale).