LA MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE

Prima di addentrarsi in ciò che caratterizza la mediazione nel nostro sistema giudiziario è possibile, ripercorrendo le tappe della sua nascita ed evoluzione, comprendere i tratti fondanti e le origini di tale istituto.
Il termine “mediazione” deriva dal vocabolo latino mediatio -onis, ovvero mediare ‘stare nel mezzo’, oggi ricompresa in quelli che vengono definiti A.D.R (Alternative Dispute Resolution) accomunati dalla finalità di risolvere un conflitto in un ambiente differente rispetto le ordinarie sedi processuali.
Figura rilevante del procedimento è quella del mediatore, quale soggetto super partes, ed in ogni caso privo di qualsivoglia potere decisionale vincolante, che, agevolando o riaprendo il dialogo tra le parti, induce le stesse a valutare un contemperamento dei loro interessi, spronandole a ricercare soluzioni e un possibile accordo idoneo ad equilibrare le rispettive posizioni individuali.
È d’altronde notorio come nel nostro sistema l’utilizzo di taluni istituti analoghi alla  mediazione sia già rinvenibile in epoche passate, e così ai primordi nelle società patriarcali, il ruolo degli anziani nei clan familiari, o, di quelle figure dotate di “pubblica autorevolezza” garantiva la presenza di un soggetto terzo che coadiuvasse le parti nella risoluzione della lite, mentre in epoca romana, una forma giuridica della mediazione era individuabile nei “pacta” che, seppur in relazione a tre fasi esclusivamente processuali, indicava la possibilità di esperire un tentativo di conciliazione, precisamente, dopo la vocatio in ius e prima dell’inizio della fase in iure; nella fase in iure, davanti al magistrato e dopo l’emanazione della sentenza, cioè dopo la fase in iure e apud iudicem1.
Questo a significare come la recente evoluzione legislativa sia in realtà frutto di un genus intrinseco e fondante il nostro sistema giudiziario, che ab origine prevedeva e anzi, sollecitava, la risoluzione delle liti in maniera autonoma, svincolandosi dalle logiche autoritative processuali, per trovare la sua essenza nell’autonomia privata.
In epoca contemporanea è invece significativo citare la relazione dal titolo “The Causes of popular Dissatisfaction with the Administration of Justice” presentata, nel 1906, dal professor Nathan Roscoe Pound2, in cui veniva già posta in evidenza l’inadeguatezza del sistema giurisdizionale pubblico ad offrire risposte ad un’ampia gamma di contenziosi, sottendendo la necessità di porre in essere meccanismi volti a compensare la sempre maggior conflittualità del sistema.
Successivamente, infatti, a fronte dell’evoluzione e dell’incremento nell’utilizzo di strumenti alternativi, nel 1998 venne modificato il Titolo 28° della Carta dei Diritti riguardante la risoluzione dei conflitti, sancendo che le procedure e gli strumenti di A.D.R. dovevano prevalere su qualsiasi procedura di contenzioso.
Raffrontando quanto ivi brevemente esposto con l’attuale apparato legislativo, è facile ravvisare come tali tipologie di strumenti, e in particolare la mediazione, siano stati oggetto di una continua implementazione ed evoluzione su scala mondiale, che ha portato il consolidamento di un nuovo pilastro, parallelo a quello giudiziario, volto a controbilanciare gli svantaggi tipici di un procedimento ordinario, tramite la rapidità, l’immediatezza e l’autonomia proprie della forma più antica di collaborazione e conciliazione, fondato sulla comunicazione tra le persone.
L’Italia, d’altronde, in genere poco disponibile al cambiamento, ha mostrato negli anni come sia stato sempre difficoltoso apportare modifiche legislative sostanziali non solo al sistema giuridico, ma anche più in generale a quello della politica e della forma di governo, e questo per i veti incrociati di alcune parti politiche, talora da parte di alcune categorie professionali, o semplicemente per la difficoltà di accettare un nuovo modello di procedimento.
Ciò a volte in contrasto con la reale necessità di rinnovamento del nostro sistema giudiziario civile, gravato da circa 5 milioni di cause civili arretrate, al 158° posto su 180 nella classifica mondiale di efficienza nella definizione delle controversie civili e commerciali3 e 35° in Europa su 42 stati monitorati.
Da quando la mediazione civile è entrata a regime (nonostante un anno di “blocco” a causa della nota sentenza della Corte Costituzionale che deduceva l’inidoneità dello strumento legislativo utilizzato per la sua emanazione) l’Italia ha recuperato ben 47 posti, portandosi al 111°.
Il dato rilevante è che, nonostante l’apparente chiusura del nostro sistema, o di chi ne fa parte, l’Italia, secondo la Risoluzione del Parlamento Europeo circa l’attuazione della direttiva 2008/52/CE in materia di mediazione civile e commerciale, è riuscita a primeggiare in Europa, vantando un ricorso alla mediazione di sei volte superiore rispetto agli altri stati Europei.
Come sappiamo il dibattito sullo strumento della mediazione è ancora aperto, anche da parte degli Organismi dell’Avvocatura, rivelando come l’Italia sia ancora lontana da quella “rivoluzione culturale” necessaria affinché abbiano seguito efficienti riforme, e non solo nel microcosmo della giustizia civile, ma anche in quello del sistema economico e politico generale.
Se gli attriti e le accese polemiche verso tale istituto non sono riusciti a ostacolarne la diffusione e l’utilizzo, potrebbe essere il sintomo che davvero essa è ciò di cui, anche inconsciamente necessita il nostro sistema: nella mediazione l’aspetto emotivo litigioso viene sostituito dal tentativo, facilitato dal mediatore, di consentire a ciascuna parte di ambire ad un obiettivo positivo conforme ai suoi interessi ed alle sue aspettative.
Gli interessi delle parti vengono valutati sul piano della convenienza e della rapidità anziché della mera applicazione della legge.
Non c’è moneta che possa comprare il tempo: questo è ciò che rende straordinario l’utilizzo di tale istituto, il suo notevole risparmio, permettendo di sfuggire agli snodi delle sedi processuali, adattando la legge ad una forma colloquiale e più pragmatica di interesse, in cui la necessaria soccombenza di una delle parti sfuma verso la ragionevolezza di un sintonico contemperamento. Da semplice strumento deflattivo, la mediazione può diventare lo stimolo per una trasformazione del nostro modo di pensare al conflitto.
È necessario un cambiamento di mentalità nell’approccio al contenzioso e di cultura del conflitto nell’ottica del raggiungimento di un accordo amichevole e frutto del dialogo;
La composizione del conflitto attraverso la strada appena descritta dischiude le porte della reciproca relazione in quanto derivante dalla libera volontà delle parti; e poco importa se vi fossero possibili elementi di dubbio sull’equità di quanto stabilito dai contendenti in rapporto ad una eventuale sentenza.
La mediazione è in realtà la cultura della convivenza e della comprensione ed è la soluzione migliore quando si tratta di salvaguardare un determinato rapporto tra parti in lite.
Occorre però che la mediazione venga ripensata non come semplice tecnica ma come un progetto di una società nuova: una forma di legame sociale in grado di aiutare a passare dall’ordine antico pensato come sottomissione del cittadino alle istanze superiori, ad un ordine innovativo, una epoca di “apertura” basato sulla partecipazione reale ed attiva del singolo alla gestione della vita quotidiana collettiva e del divenire del mondo.
Dovremo pensare all’individuo (un po' come l’uomo vitruviano di Leonardo) al centro di una società meno conflittuale ed avversariale in cui non ci sia sempre bisogno di utilizzare il sistema giudiziale che pone le parti l’una contro l’altra per un lungo periodo di tempo.
Si può evitare un enorme dispendio di denaro, di grande ansia e pressione psicologica, attraverso un iter rigido e formale nel quale il riconoscimento della parte si ottiene mediante una decisione imperativa di ragione o torto, lavorando sulla comprensione delle ragioni dell’altro.
Avv. Maria Gabriela Branca

 

1 Cfr. Dacia Malzone, dottorato di ricerca presso l’Università Tor Vergata in Roma.

2 Cfr. Codice commentato della mediazione, Di Felice Ruscetta, Marcella Caradonna, Mariacarla Giorgetti.

3 Cfr. Rapporto Doing Business della Banca mondiale e il rapporto European judicial systems.

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