Social anti-sociali e rivolta dei social: #MeToo e la verbalizzazione della violenza

Maria Gabriella Branca

Avvocato, mediatore civile e commerciale.

Violenza e comunicazione fanno ormai parte della nostra quotidianità, e il social blaming non fa più notizia. O sì?
La campagna #MeToo ha avuto un effetto estensivo negli ultimi mesi.
Violenza fisica, verbale, negazione della violenza, esternazione della violenza hanno invaso i social media, riportando in primo piano un tema bistrattato dalla "progredita" società occidentale: le molestie sessuali.
Dal "che noia" al "finalmente se ne parla", ne abbiamo sentite di tutti i colori.
#MeToo è l'hashtag con cui molte donne, star o professioniste al fianco di alcune celebrità, hanno denunciato episodi di violenza sessuale, fisica e psicologica, subite da parte di uomini politici o di spettacolo.
Ciò ha innescato una serie di accuse a catena, quell'"effetto Weinstein" che ha portato alle dimissioni di personalità politiche e non, sia negli Usa che in tutta Europa.
Com'è noto, il fenomeno mediatico ha scatenato molte polemiche: vi è stato chi ha accusato le donne di profittare delle posizioni di potere degli accusati, per ottenere lauti risarcimenti; o ancora chi ha solidarizzato con le vittime delle violenze ma ha finito per involvere, a sua volta, in un acritico e generalizzato disprezzo di genere.
Uomini contro donne, donne contro uomini, ma anche donne contro donne, come purtroppo spesso accade.
E così via in un loop di incomunicabilità. E' l'effetto domino dei social.
Siamo assuefatti all'aggressività, agli animi verbosi e prevenuti, alla diffidenza, all'insulto.
Ci siamo adeguati a un nuovo modo di comunicazione "a distanza", una distanza che non è soltanto fisica, ma mentale. Parliamo al net, a un interlocutore virtuale, e questa mancanza di face-to-face ci fa dimenticare che, al di là dello schermo, c'è sempre una persona a leggerci, ad ascoltare le urla virtuali.
La comunicazione a distanza sembra che possa “deresponsabilizzare”, e ci sentiamo assolti dalle conseguenze delle nostre azioni verbali. Risultato: da mezzo per connettere persone, i social sono diventati un amplificatore di asocialità.
Ma con #MeToo qualcosa si è mosso.
Non si tratta soltanto di aver riportato in luce un tema spinoso, una parità di genere verbalizzata, ma non agita.
#MeToo ha rappresentato una vera e propria rivolta dei social verso la loro intrinseca violenza: da veicolo di violenza a veicolo di denuncia della violenza stessa.
Il fenomeno è tanto più rilevante, se si pensa che l'Unione Europea ha rilevato quanto incida, sul persistere della violenza sulle donne, oggi, il problema del silenzio sulla violenza stessa. La non-divulgazione è il primo passo per l'accettazione, il tacito consenso: è questo il senso dell'indagine condotta nel 2017 dall'Agenzia Europea per l'Uguaglianza di Genere.
Ecco allora che il significato dell’anti-violenza diventa una meta-riflessione sul valore ed il significato della comunicazione odierna sul web, che cerca e ritrova una dignità "social", nel vero senso del termine.
Ammettere la violenza, assumere consapevolezza della violenza, comunicare la consapevolezza della violenza, per superare la violenza.
Perchè i social network sono e restano, in quanto tali, uno strumento sociale, un mezzo per mettere in contatto persone.